giovedì 9 gennaio 2014

La storia dei nonni

                                                       Il ricovero
Ieri siamo andati al ricovero "La Consolata" ad  intervistare alcuni nonni.
Ci siamo divisi in tre gruppi , i nonni ci hanno accolti in grandi sale.
Abbiamo intervistato nonna Maria, nonna Agnese, nonna Santina e nonna Cornelia.
Ci hanno  raccontato alcune cose di quando  erano piccoli:
                  
RACCONTO DI MARIA  
Mi chiamo Maria e sono nata nel 1931 a Oracarbonia che si trova in Sardegna.
La mia casa era più o meno come qui: un bagno, camera da letto, cucina e la cantina. Abitavo in campagna. Ci riscaldavamo con il caminetto, con la legna ma non in tutte le camere; nelle altre camere c'era la pompa di calore che trasmetteva il caldo attraverso dei fili elettrici
C'era il bagno con la doccia e anche l'acqua corrente con il rubinetto. Ci lavavamo nel lavandino, nel bidet.
Quando ero piccola vivevo in un'altra casa in campagna in casa di mia madre e aveva tutto.
In famiglia quanti eravate? Eravamo due sorelle, tre fratelli uno a tre anni è morto di bronchite, un altro anche lui è morto piccolo e l'altro è morto per una malattia del latte ma non abbiamo capito a cosa si riferiva...
quindi i tre fratelli sono morti tutti e tre.
Aiutavamo in casa mia mamma mi faceva lavare, stirare ma non da piccola; ero già un po' più grande di voi. Poi andavo a lavare con le bacinelle di legno e lavavo e cantavo. Dormivamo nel letto e le stanze non erano riscaldate. Di sera andavamo a dormire, la televisione non c'era e allora si andava a dormire perché mio padre non mi faceva andare in giro. Sono andata a scuola fino alla quinta elementare e poi non era obbligatorio. Si andava a scuola a piedi ed era lontano …2-3km. Impiegavo mezz'ora ma dovevo camminare veloce x fare in fretta.

In classe eravamo 30 bambini con una maestra sola. Se uno si comportava male ..veniva messo dietro alla lavagna in castigo.Controllava le unghie e, se non erano pulite, dava delle bacchette sulle dita... se non sapevi la lezione andavi dietro alla lavagna in castigo. Era importante essere puliti e i genitori erano severi, guai se tornavi a casa a lamentarti. Si studiava dalla prima alla quinta: italiano, aritmetica poi non me le ricordo più.
 I banchi avevano il calamaio inserito con l'inchiostro e il pennino si intingeva nel calamaio.
I grembiuli erano bianchi e dovevi fare molta attenzione a non sporcarli. A scuola non facevamo l'intervallo e andavamo solo alla mattina. Avevamo anche i compiti a casa. Non facevamo sport e non si andava in palestra. I quaderni erano piccoli.
A casa non giocavo tanto perchè ero sola, mia sorella era nata quando io avevo 14 anni. A volte si giocava al girotondo ma io non giocavo molto. Giocavo con le bambole... mi ricordo che giocavo con le bamboline piccole di stoffa, e i maschi usavano i cavallini di cartapesta.
In cortile se c'erano altre bambine si giocava al girotondo o alla corda che mi piaceva tanto.
Si giocava anche con i cerchi era tipo la "settimana" si lanciavano le pietre e dovevi recuperarle.
Mio padre aveva le capre e ogni tanto si mangiava un capretto poi avevamo il maiale. Mia madre tirava il collo alle galline con le mani poi si appendevano per i piedi a testa in giù.


                    RACCONTO DI AGNESE
Nonna Agnese è nata nel 1917 a Cumiana, lei abitava in campagna,  quando era piccola  non c' era l'acqua corrente e neppure il riscaldamento, alla sera si recavano  nella stalla, le donne facevano maglia e uncinetto, gli uomini giocavano a carte e molto spesso i bambini si addormentavano sulla paglia.
                        RACCONTO DI CORNELIA   
Nonna Cornelia quando era piccola abitava in città, a Torino, è nata nel 1924. Di mestiere faceva la ritoccatrice, infatti nelle fotografie  faceva  diventare tutti belli.
Ci ha anche detto che per andare a scuola si andava a piedi in città c'era il tram ma costava troppo.

                        INTERVISTA A NONNO GIOVANNI
Sono nato nel 1927, vicino a Cuneo.
Putagè
In casa mia c'era la miseria: era una casa povera, la mia famiglia era povera e facevamo i giardinieri per conto di un padrone. Abitavo in un posto a metà tra la campagna e la città: quando ero piccolo c'era una chiesa di San Rocco e il campanile... poi hanno buttato giù la chiesa e il campanile e ora è diventato tutto parte di Cuneo.
Bialera
Ero con mio papà e mia madre e facevamo i giardinieri lì. La casa era scaldata con un “potagè” che sarebbe la stufa doppia e si faceva anche da mangiare. A quel tempo là si metteva lo scaldino sotto le coperte così il letto era caldo. Il bagno era lontano e i bambini si lavavano con la catinella d'acqua invece i più grandi usavano la “bialera” che è un fosso d'acqua che viaggia tra i campi. L'acqua era solo nella “bialera” e si prendeva con il secchiello; non c'erano i tubi che portavano l'acqua in casa. Io a 4 anni andavo a prendere l'acqua nella bialera da solo. Facevamo i giardinieri presso un conte e io ero piccolo e dormivo vicino alla finestra e avevo il materasso di paglia. La finestra d'estate era aperta, c'era un uccello che noi chiamiamo il “cioch” (gufo) che dormiva di giorno sopra una quercia e d'estate per le strade guardavo quelle piante e dicevo ai miei fratelli che nelle querce c'erano i “cioch”. Quando lo facevi scappare si sentiva il verso. Invece sulla civetta c'erano delle storie strane: si diceva che portava sfortuna ma no era vero; la civetta mangiava gli uccelli morti e allora si diceva che portava sfortuna e i bambini avevano paura e quando la sentivano chiudevano le finestre.
Cioch
Per lavarci, il sapone lo faceva mia madre: si faceva fondere il grasso dei maiali avanzati o, se moriva una mucca, si prendeva il grasso. Quando moriva una mucca il contadino la usava, recuperava tutti i pezzi.
L'energia elettrica a Cuneo sì, ma nei posti di campagna non c'era e ci illuminavamo con le lanterne con il petrolio che si andava a comprare in paese. Dei bambini si erano rovesciati del petrolio addosso ed erano andati a finire in ospedale.
In famiglia eravamo 7 figli e papà e mamma in tutto eravamo 9. Io ero il più vecchio dei maschi. In casa aiutavamo; a 4 anni andavo a prendere l'acqua per le bestie, controllavo le vacche, tiravo la paglia fuori dal pagliaio con il gancio per fare il letto alle mucche. Una volta sono andato a tirare la paglia per le mucche ma pesava troppo allora è venuto mio papà che ha visto che non lo avevo ancora fatto e mi ha tirato un calcio. A 5 anni ero già un garzone, un servo della campagna. Poi mi hanno messo ad irrigare il prato solo che a quell'età lì non avevo la forza di tirare su le saraie ( le chiuse): era un lavoro pesante. Facevamo delle fatiche enormi. In inverno dormivo nella stalla perché se no si gelava! C'era un po' di paglia su una branda e dalla stanchezza uno si addormentava subito... uno era talmente stanco che spesso se la faceva addosso.
Il baluard? Era come un letto attaccato alla soletta perché vicino al soffitto faceva più caldo. Alla sera dicevo le preghiere e poi andavo a dormire, prima quando si andava a scuola si diceva il “Pater nostro”.
La radio non c'era e nemmeno la televisione. Le prime radio le avevano gli agricoltori che avevano più soldi e poi non c'era l'elettricità. Noi eravamo dei mezzadri.
A scuola sono andato fino in 3a poi ho fatto la 4a e la 5a in un altro posto. Però solo mezzo tempo perché poi dovevo lavorare: usavo l'aratro per piantare il granturco. A scuola si andava fino all'una poi andavi a casa e avevi tanta fame, in altri tempi finivo alle 11. Alla sera mangiavi un po' di polenta con un po' di latte.
A scuola andavo a piedi con un paio di zoccoli con un po' di paglia dentro senza calze. Si camminava sopra la neve gelata ad andare e venire poi quando la neve si scioglieva ti riempivi le scarpe d'acqua. In classe eravamo anche in 60 bambini con un maestro solo che faceva due classi o tre. Un giorno la maestra ci ha chiesto se vincevamo la guerra e i più piccoli avevano detto di sì;noi più grandi, avevamo detto di no e la maestra ci aveva detto di stare zitti e seduti perché nel fascismo non si poteva dire quello che si voleva, nella dittatura potevano punire tuo padre se dicevi qualcosa di sbagliato e la maestra non voleva che ci sentissero.
Nell'aula c'era una fila di prima poi altre due file di seconda, due file della terza e due file della quarta e la maestra doveva dare la lezione per ogni classe e per spiegare si metteva davanti al tavolo e ci diceva …(non ricorda)
In prima ci facevano fare le aste e imparavi i numeri di lì. In aritmetica si facevano anche i problemi e per contare usavamo il pallottoliere. C'erano dei bambini cattivi e a me ne hanno fatte di tutti i colori. C'era l'intervallo e ci portavamo un panino e la maestra dava il tempo di mangiare un panino. L'aula si scaldava con la legna. A merenda tanti avevano il salame fatto in casa e il pane si faceva in casa. Si giocava a palla pugno ma c'era poco tempo per giocare. Non c'erano le mense, nemmeno per gli operai che si portavano la polenta arrostita o il pane. Avevamo dei compiti da fare a casa. L'unico posto dove mi riposavo era la scuola, quando ci andavo ero contento! Per i mezzadri come la mia famiglia non c'era né da mangiare né da bere, bisognava sudarsi tutto. Il mezzadro lavorava e un terzo del ricavato dei campi andava a lui che aveva lavorato, il resto al proprietario del terremo. Per esempio: di una cassetta di pere il padrone si prendeva quello che voleva, la parte migliore e il resto, la parte più brutta, andava al mezzadro.
Si faceva lo sport per la dittatura: ci facevano alzare e abbassare le mani fare l'incrocio ed era un obbligo, io avevo gli zoccoli e avevo male a fare la ginnastica con il movimento che faceva il piede nella zoccola il piede si spellava tutto.
Ci davano i quaderni e i colori perché eravamo troppo poveri; scrivevo con il calamaio che era dentro il banco e se macchiavi il quaderno ricopiavi a casa o mettevi un'aggiunta a quello che avevi macchiato. Voi adesso dovreste fare dei salti i gioia, allora per scrivere c'era il pennino che si attaccava al fondo di un'asta di legno. A casa non si poteva giocare io dovevo lavorare essendo il più grande dei maschi... a quel tempo era così, il più grande aiutava sempre. Io andavo a scuola però non avevo tempo di giocare coi dubbioni (monete di una volta). per fare 10 soldi ci volevano 5 dubbioni e una volta, prima della guerra ero andato a comprare le caramelle e il tabacchino mi diceva che il valore delle caramelle oggi era due soldi ma che il giorno dopo sarebbe raddoppiato e quasi non voleva vendermele.
I miei compagni avevano tempo e giocavano con le biglie prima di andare a scuola e le mettevano in un casotto abbandonato perché a scuola non potevamo portarle perchè la maestra diceva che non imparavamo se giocavamo. Io non avevo i soldi per comprarle e un giorno ho guardato bene di non essere visto e ho rubato ai miei compagni le biglie e le ho messe in tasca . La maestra non se n'era accorta perché nelle mie tasche non controllava perché sapeva che non giocavo mai e i miei compagni le hanno cercate dappertutto. Poi mi è presa la compassione e, senza farmi vedere, il giorno dopo ho rimesso le biglie nel casotto, tanto io non potevo mai giocare. I miei fratelli più piccoli invece potevano giocare.
A Natale, quelli ricchi ricevevamo meglio e gli altri ricevevano quello che papà e mamma potevano. Si riceveva poco perchè non c'erano tanti soldi: un libretto da leggere e qualche quaderno per la scuola perchè quelli servivano sempre, altre cose no perchè non erano necessarie.
A Carnevale si festeggiava forse più che adesso perchè era un'occasione per stare insieme e vedere qualcosa di diverso in allegria.

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